In Italia si dice che è il colmo. Mia madre, disoccupata professionista, mi ha trovato un lavoro. Ogni domenica mattina vado nel cortile del Terminale cinema e aiuto la titolare di una libreria per bambini, Le Storie della Mippa, ad allestire il banco dei libri. Poi resto a darle una mano con i genitori ed i figli che arrivano per la proiezione mattutina chiamata Cinefilante, dedicata ai piccolissimi.
Vanno in scena cartoni animati realizzati con tecniche diverse, originari di differenti paesi. Per brevi tratti mi intrufolo in sala e seguo le avventure di maialini di pongo e barche di stecchini, filmati alla perfezione in Stop motion.
Accanto al nostro banco nel cortile prendono posto signori che impastano tortellini e poi li vendono su vassoietti di carta, spolverati di una farina che segue gli acquirenti nelle loro cucine, uscendo qua e là dal fagotto.
Poi ci sono quelli con le verdure, quelli con le sciarpette solidali ed il mio preferito: un signore che fa la crema di castagne e cioccolato e ci farcisce dei dolcetti, su cui sopra posa tre violette fresche che tiene in un contenitore a parte. Ogni dolcetto ha qualche cucchiaio di crema scura e tre violette sgargianti, che vengono addentate come una poesia.
Io me lo vedo che la mattina si mette a scegliere tra erba e cespugli le viole da portare ai bambini di Cinefilante qui al Terminale Cinema. Lui è uno di quei personaggi che mi ricorda Buenos Aires, la sua intraprendenza creativa. Quest’atmosfera porteña mi tira fuori un estro finora sopito a Prato. C’è tutta una parte più artistica e creativa che ridà forza alla mia passione.
A partire da dei volumi che ho visto in libreria, ho iniziato a illustrare delle tavole di Kamishibai. Si tratta di una tecnica narrativa che viene dal Giappone e racconta storie dentro teatrini ambulanti. La storia che sto disegnando io è quella di un piccolo Tucano che parla con la mamma e l'ho presa alla Lazzerini, la biblioteca poco distante. Si intitola Solo per amore.
Mentre porto avanti la scuola senza grossi intoppi, nonostante sia venuto meno l’aiuto di Ayida, ho trovato anche una dimensione più mia che mi fa sentire di respirare con tutte e due i polmoni ogni momento. Ci sono stati periodi in cui i miei respiri sono stati corti e affannati, questa è una conquista.
Verso le 13,30 oggi ho finito il mio lavoro e caricato tutto nella station wagon delle titolari. Mangio un paio di dolcetti alle viole che il signore mi ha tenuto da parte e poi raggiungo Jackson di classe mia in piazza delle Carceri. Mi è venuto incontro per portarmi a conoscere il tempio buddhista della città. C’è tutta un’altra fetta di Cina, qui a Prato, oltre l’edonismo del mangiare, bere e comprare.
Da quando Ayida ed io non ci parliamo, per sua scelta, Jackson si è sentito libero di parlare con me. Ho scoperto la sua dedizione al buddhismo e lui ha insistito per farmi entrare al tempio. Con una camminata di un quarto d'ora lo raggiungiamo ed è un edificio moderno. Si allunga di fronte alla piazza del mercato nuovo, che di domenica è un parcheggio quasi vuoto, conteso tra l’ombra di alberi a file e sprazzi di sole già bollente.
Lo stile del tempio mi ricorda quello del portale del barrio Chino a Buenos Aires. Davanti alle porte ci sono due alti leoni di pietra con una pietra nella bocca, che rotola ma non può uscire. Che divertenti.
Da una porta laterale si accede alle varie sale, in cui si susseguono statue lucide e tavoli per le offerte. Non c'è nessuna cerimonia in programma oggi, ma Jackson mi racconta che i monaci sono una grande ispirazione per lui.
Approfitta della lontananza da scuola e dal trio per confidarmi che ha il sospetto che le autrici del telo insanguinato di inizio anno, siano Ayida e le amiche. Chiedo spiegazioni.
Pare che Ayida conosca Jackson dalle medie e abbia osservato in alcune occasioni il bel rapporto che lui ha con sua madre. La madre è molto giovane e lui la aiuta come può, con la spesa, la cucina, l'italiano e la scuola guida.
Jackson non sa perché ma questa cosa pare averla infastidita a tal punto da attaccarlo platealmente, anche se in incognito.
Io dico a Jackson che secondo me si sbaglia e che non credo sia stata lei.
Ad ogni modo poi taglio corto e lo saluto, ma camminando verso casa di Leonardo, ci rifletto un po' su.
Non so come sia andata, dopo la mattinata del van, tra la signora Wang e la figlia. Quello che so è che il conflitto con la madre condiziona le sue azioni proprio quando prova a ignorarlo.
Ma chi sono io per avere soluzioni o consigli? Quando le farò comodo o pena, forse Ayida riprenderà il nostro discorso da dove siamo rimaste. Io non ho potere di fare molto. Ha rifiutato di parlarmi e mi dispiace, perché con lei mi sono divertita un sacco ed è merito suo se mi sono sentita meno sola lo scorso autunno.
Per una volta però sono stata capace di fare i miei passi fuori dall'influenza di amicizie poco ragionevoli. La mia intenzione è continuare a mettere un piede davanti all'altro, e così facendo, per ora raggiungo il cancello di Leonardo.
Paco mi viene a salutare senza bisogno di suonare il campanello. L'unica condizione che hanno posto i genitori di Leonardo alla nostra relazione, dopo lo scherzetto che abbiamo fatto loro a Pasqua, è stata quella di conoscermi.
Mi sono presa del tempo ma adesso sono pronta e suono il campanello. Mi viene ad aprire la signora, vestita a fiori e vivace, a piedi scalzi. In quel momento suona un clacson ed arriva a sorpresa mia madre con la signorina Belli. Se si è fatta dare un passaggio da lei per questa strada stretta, mi ama veramente.
Mamma scende con una scatola tintinnante di birre della sua produzione. Da circa un mese ha rimesso in piedi l'impianto casalingo che languiva in cantina. Con un sorriso spigliato adagia la scatola nel portico, come offerta di pace.
Il padre di Leonardo aveva la madre spagnola. Amano tantissimo viaggiare e parliamo soprattutto di posti del mondo che io conosco per sentito dire. Leonardo sembra contento di mettere le cose a posto e si lascia prendere in giro dal fratello senza perdere l'allegria.
Ci offrono una torta gelato a forma di riccio, buonissima con i pinoli al posto degli aculei. Mi fanno delle domande dirette e quando non so che dire, guardo mamma e ci pensa lei. Vorrei sciogliermi ma la situazione mi sta un po' stretta. Mi sento un palo sotto i riflettori.
Dopo un'ora e mezzo che sembrano tre, risaliamo in macchina con la signorina Belli. Partiamo e mamma allunga una mano sul retro e afferra altre due birre. Una per lei e una per me.
"Assaggia".
I momenti da ricordare arrivano così, inaspettati. Il vento tra i capelli, la macchina al femminile, l'alcool che mi intorpidisce. Chiacchieriamo a ruota libera e ridiamo.
"Chissà che direbbe papà dei tuoi suoceri. Per i padri non è facile vedere la loro bambina con il fidanzato".
"Suoceri? Rimangiati subito quello che hai detto!". Ormai anche tra noi ci scorniamo in italiano.
“Vedi che tuo padre ed io ci siamo conosciuti alla tua età”.
Mi mordo la lingua per non replicare a sproposito.
La signorina Belli guida con più dolcezza, presa dalle chiacchiere. O così mi pare. Mentre saliamo verso casa si sentono dei tuoni molto forti arrivare in gran fretta.
Entriamo in casa mentre si scatena con violenza un temporale carico di elettricità. Passano dieci minuti quando va via la luce, ma non solo a noi. Vediamo affievolirsi anche le luci della villa e quelle della cascina di fronte.
La villa è senza luce. Deve trattarsi di un black-out. Mi viene un'idea improvvisa. Corro alla cassetta degli attrezzi e afferro un paio di cesoie. Inforco la porta e corro sotto la pioggia.
Raggiungo il cipresso del cervo e mi accanisco sul filo spinato.
Mia madre compare dalla curva, con i capelli fradici sotto un ombrello rovesciato. Vede cosa sto facendo e si unisce all'operazione.
In pochi minuti l'albero è libero. La sua corteccia sventrata sventola senza lacci sotto la pioggia battente. Urliamo. Anche noi, siamo libere e liberatrici. É tempo di scrivere nuove trame tra queste colline. Che ti hanno fatto da piccola mamma? Mi hai mandato in avanscoperta poi hai trovato la forza.
É tempo di essere qui insieme.