Sono tornate le vespe muratrici. Ne ho sentita una ieri pomeriggio, mentre mia madre finiva di infilare nelle scatole del trasloco le ultime pile di abiti invernali.
Siamo a giugno, sono stata promossa e questo ha portato sulla mia spalla questo cerotto ingombrante.
Con noi c’è papà: è arrivato a sorpresa una settimana fa e abbiamo preso un appartamento di Airbnb dove ricompattare i racconti di questo anno di diaspora e celebrare la nostra riunione.
Papà ha detto che ormai che siamo tutti in Europa, lui propone di raggiungerlo a Zurigo. La città è incantevole in estate, con le attività sull’acqua e l’aria fresca. Se ci piacesse potremmo prendere un appartamento più grande e viverci insieme tutto l’anno.
La mamma non si sbilancia ma sto provando a leggerla per capire se preferisca restare a Prato o se voglia rientrare a Buenos Aires. Ieri ci ha informato che ha trovato un inquilino per il piano di sotto della nostra casa nel quartiere Palermo. Pare che la signora Wang abbia intenzione di tornare per un semestre in Argentina.
Io sono un’adolescente con un fidanzato e abbiamo iniziato ad andare a letto insieme. Dove volete che voglia andare. Leonardo continua a dimostrarsi un ragazzo deciso e pieno di qualità nascoste. Non mi annoia anche se non fa tanto rumore. Stasera andiamo in un locale BBQ cinese in via Luti e lo presento a papà.
L’altro giorno ho trovato Ayida per caso. Stavo andando alla biblioteca Lazzerini e lì di fronte, nella Saletta Campolmi, stava per iniziare un evento di arte contemporanea. Lei era accanto ad una finestra, in attesa, ed io mi sono messa vicina, senza dire una parola. Lei non ha battuto ciglio, ma non è nemmeno andata più in là.
Eravamo in attesa della performance Instinctive Reaction di Peng Shuai Paolo. Un bel ragazzo in mutande è entrato e si è seduto su una sedia bianca. Ha iniziato a mangiare un intero casco di banane. Era una metafora di quando ti sforzi di assimilare a grosse boccate una cultura diversa dalla tua. Ogni gesto è innocuo ma puoi esagerare fino a stare male.
Ayida era tesa e concentrata. Secondo me era lì per qualche secondo fine, ma intanto si è beccata una performance scomoda. Due signore accanto a me hanno spiegato perché l’artista aveva scelto proprio la banana. Nella visione cinese, il giallo della buccia rappresenta la pelle, il colorito, l’origine etnica. Il frutto bianco invece rappresenta l’interno della persona, il pensare “bianco”, l’appartenenza culturale occidentale. Questa condizione bicolore non ti fa appartenere completamente a nessuno dei due gruppi, non sei né bianco né giallo ma in bilico. L’impressione che mi è arrivata è quella di un’esperienza dolorosa.
Questa sofferenza che si ripete arrivava anche da una voce che sentenziava una serie di parole giudicanti sulle “persone banana”, sia in italiano che in cinese. Queste parole sporcavano la sedia bianca su cui l’artista sedeva, rendendo il suo appoggio un ponte scomodo con la realtà.
Quando è finito, Ayida non si è mossa. Aveva gli occhi lucidi. Ho preso un fazzoletto dalla tasca, gliel’ho dato e sono andata in biblioteca. Quando sono uscita l’ho intravista da lontano. L’aveva raggiunta Yun, il fidanzato, ed erano seduti al tavolo del bar a bere qualcosa con un gruppetto di artisti.
Sono passata vicino ma hanno finto di non conoscermi. O non mi hanno visto.
Provo a sollevare un angolo del cerotto e la colla non oppone troppa resistenza. Quando sarà calato il sole, stasera, sarò pronta a mostrare cosa ho fatto ai miei e a Leonardo. Per adesso il mio tatuaggio è un vampiro che deve stare alla larga dai raggi del sole. Indosso un top senza spalline, arricciato sul seno, per evitare che il tessuto sfreghi sulla pelle delicata sotto gli inchiostri. Me l'ha dato la signorina Belli, deve risalire agli anni '70.
Quando ho chiesto per la trentesima volta con una cantilena se mi potevo tatuare, dai dai dai, mamma ha ceduto. Avevamo sempre detto di aspettare i 18 anni, e invece! Io pensavo che scherzasse ma lei ha detto sì e ha convinto papà. Io non ero pronta!
Ho sfogliato decine di fotografie e cataloghi di simboli. Ho cercato ovunque e poi anche dentro di me.
Guardo dalla finestra di questa camera di campagna da cui i fratelli Belli mi stanno sfrattando, seppur senza fretta. Il profilo della collina, le fronde degli ulivi, il miagolio dei gatti, sono stati parte di questo anno e me li porterò dentro. É un pezzettino di vissuto che condivido con mia madre, con la sua adolescenza pratese. Ora lo so.
Il glicine sta sfiorendo e di sera sono arrivate le lucciole. Io mi incanto a camminarci in mezzo, mi unisco alla loro danza seduttiva. Ho comprato delle lucine led per Leonardo e per me e abbiamo ballato tra le lucciole un tango sgangherato. Mi sono sentita completa, mi sono sentita vibrare. Mi dispiace lasciare questo posto.
Vedo RB che esce di casa e si allunga la canna per annaffiare l'orto. Sì, sono tornati i pomodori. RB mi vede e mi strizza l'occhio. Lui mi mancherà più di tutto ma insomma, non è mica detto che lasciamo Prato. Anzi.
Papà ha detto che lui ricorda appena questo casolare. Quando conobbe la mamma, lei sognava di scappare verso altri luoghi. Questa ormai era solo la casa della nonna Consuelo, dove venire a cena per la Viglia di Natale. Quando i fratelli Belli lo avevano ricomprato alla morte della nonna, per restare in zona dopo la confisca della grande villa di famiglia, noi eravamo ormai dall’altro lato dell’Oceano Atlantico.
Sento il clacson di papà. Siamo pronti per andare verso il ristorante con la Cinquecento a noleggio. Li raggiungo a bordo, il cerotto è ruvido sotto le mie dita. La mamma è al telefono con un'amica dei tempi in cui viveva a Firenze. Capisco sentendo le sue frasi che sta per tirarme fuori una delle sue, la telefonata dura praticamente tutto il tragitto verso Prato city.
Quando riattacca, mi dice che ci sarebbe un posto per noi a Firenze, da un'amica che le deve un favore.
Eh no eh! Se abbiamo altri parenti che me lo dica subito! Basta misteri.
Lei si mette a ridere e mi dice:
"In effetti anche questa è una lunga storia. Prima o poi te la racconterò" e scambia uno sguardo furbetto con papà.
Incorreggibile. Incorreggibile.
Le va bene che proprio adesso vedo Leonardo che si ingrandisce sul marciapiede mentre lo raggiungiamo. Si è messo i pantaloni lunghi. Fa proprio sul serio.
Scendo dall'auto, lui mi si avvicina e mette la mano sopra il cerotto. Poi la ritrae.
"Scusa, ti fa male? "
Scuoto la testa. Allora lui si avvicina ad un bordo con le dita e chiede: "Alzo? "
"Aspettiamo di essere seduti!" dico io, facendo strada tra i tavoli con le panche in legno.
Per prima cosa apriamo il menù con un QR code e scegliamo verdure piccanti, pannocchie arrostite e spiedini di manzo e di pollo, una vagonata. Un uomo grasso senza maglietta griglia la carne lì in un lato del cortile.
Mentre attendiamo le pietanze, si accendono le lucine che decorano a file il cielo sopra le nostre teste. C'è un vento fresco che spezza la calura. Arrivano le birre Tsingtao e la Coca di Leonardo.
Lui prende un sorso e poi incalza.
"ConCon è il momento".
Vedo papà che sorride a sentirmi chiamare così.
" Ok" poi con solennità mi alzo in piedi, mi ruoto di un quarto e sotto quei sei occhi attenti, sollevo il cerotto con uno strappo netto.
"Wooo!"
Ho riflettuto su questo mio anno pratese, sulle cose che mi hanno emozionata. Ho cercato un promemoria in cui infilare riserve di felicità.
Ma per trovare la felicità, ho analizzato anche il dolore del razzismo. Per esempio, se i cinesi in Italia sono banane, io che sono latina fuori e dentro ho una passione per l'Asia, cosa sono una nocciola?
Secondo me se si ha il coraggio di guardare bene, siamo tutti fragole. Ma piante di fragole, non semplici frutti. Siamo in grado di allungare stoloni e mettere radici in più posti. Siamo molto in movimento sia dentro che fuori di noi.
Un drago verde, con le fattezze di quello del Capodanno cinese, si è seduto sulla mia scapola. Un dragone botanico, poco Disney molto stampa orientale. I suoi occhi fissano chi lo guarda, mentre tiene nelle bocca una grossa rossa fragola. La fragola ha le gambe. Due stoloni con radici penzolano ai suoi lati.
Fragola in spagnolo di Spagna si dice Fresa, ma a Buenos Aires la chiamiamo Frutilla. Siamo fragole. Somos Frutillas. Siamo esseri splendenti, con la potenza del bramito del cervo e la dolcezza della frutta. Siamo nella bocca di un drago ma potrebbe essere il nostro più grande alleato. Siamo vivi e pulsiamo di vita. E non c’è filo spinato che ci possa fermare.
fine.
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