lunedì 8 agosto 2022

SOMOS FRUTILLAS- CAPITOLO 7

 


Il quartier generale di Ayida è un negozio di tea. Bubble tea. Ha una veranda rialzata dalla quale si controlla via Pistoiese, e anche la traversa che conduce al campetto di skate e basket dove vanno i ragazzi più cool. D’estate si tolgono le magliette e stanno ad allenarsi con i muscoli all’aria, dicono. Ora è dicembre e sono tutti dentro giacche a vento della Decathlon o di marche veramente molto costose.

Sopra le magliette sono comparse delle felpe con cappuccio, bianche, rosse o nere. La lana, nessuno la indossa. I miei maglioncini di alpaca vengono osservati con un ingenuo stupore quindi non mi apro mai il giaccone verde, l’unico che ho, che mi accompagna dal mese scorso. Io scoppio di caldo, il resto dei ragazzi non si lamenta ma ho notato delle mani livide.


Al quartier generale si viene quando non siamo in missione. La veranda è di un turchese brillante e dalla strada i clienti seduti sono ben visibili. Entriamo, ordiniamo, ognuna di noi tira fuori il suo telefono e diventiamo soprammobili, a portata dell’aria calda dello split del condizionatore. Tra le nostre mani, un bubble tea caldo, che sarebbe un the con latte e con palline da mordere e mangiare che salgono nella grande cannuccia. Sono perle di tapioca.

Il classic ha il colore di un cappuccino ed è dolce ma non troppo. I gusti alla frutta invece possono avere un cappello di panna montata.

Il bubble tea classic costa 3 euro e 50 ma se hai una tesserina fedeltà con 10 timbri ti viene gratis. Ayida ha sempre una pila di tessere piene e nessuno le fa domande quando ne ordina due gratis di fila. Ha capito che non ho mai soldi e sta pensando ad un modo per farmene fare un po’. Alcuni ristoranti cercavano un’aiuto-cameriera per le vacanze natalizie, ma non parlando cinese sono tagliata fuori.

Quando siamo in missione, frequentiamo altri negozi di dolcetti lungo questa strada. Ce ne sono un paio con la vetrina piena di scritte dove possiamo appoostarci senza essere notate dal marciapiede. Per fortuna il colore del mio giaccone è diffuso tra gli altri adolescenti, e va bene per uscire con la banda di Ayida.

Ce n’è uno con un giardino sul retro che usiamo per le riunioni con altre ragazze. Si chiama Taro Garden. Le riunioni si svolgono esclusivamente in cinese ed io penso a recuperare le bevande quando sono pronte e mi metto ad accarezzare i gatti del locale. Sono esemplari particolarmente buffi, con le zampe davanti molto corte. Immagino siano incroci studiati con il solo scopo della compagnia, e non andrebbero lontano nemmeno se se lo mettessero in testa. Sono morbidi e piuttosto polverosi.

Oggi siamo in missione ma ci siamo spinte fino in centro. E c’è questa cosa che mi rende felice, anche se non lo direi ad alta voce. Le altre non ci sono, siamo solo Ayida ed io. Siamo in piazza del Duomo, la nostra copertura è quella di farci delle foto alle luci dell’albero di Natale mentre aspettiamo che passi un ragazzo. Una ragazza ci ha chiesto di avvisarla quando lui sarà lì. Credo sia una sorpresa romantica, ma potrebbe anche darsi che lo voglia beccare per tagliargli la testa.

Riempio il telefono di scatti di Ayida e selfie miei. Lei sventola seria la sua frangia mettendosi in posa e intanto si guarda intorno. Le decorazioni lasciano una scia blu intorno ai nostri profili. Passano dieci, poi venti minuti e non accade nulla. In una pausa per scaldare le mani, giocherello con una fava di cacao che mi ha dato mio padre e che ho nella tasca. Poi di colpo un paio di mani afferra Ayida per il cappotto.

“Scappa!” ci diamo a gambe schivando i passanti lungo Corso Mazzoni.
Nella corsa mi sembra di essere in un videogame, e metto a fuoco una serie di stelle e candele create con le luci. Ci sfrecciano sopra mentre sterziamo in piazza del Comune e poi tutto dritto, fino a piazza San Domenico.

Quando crediamo di essere riuscite a scappare, ecco che la nostra preda torna alla riscossa e spunta con un altro ragazzo da dietro l’angolo.

“Scappa!” facciamo per rintanarci in vicolo degli Stovigliai, ma è senza sfondo e troppo rischioso. Deviamo per Corso Savonarola e lì, in una stradina-parcheggio, ci spalmiamo tra un furgone ed il muro. Non fiatiamo, i nostri inseguitori tirano dritto.

Restiamo lì come sardine nella latta altri sei o sette minuti. Potrebbero essere sufficienti se non ci hanno visto, altrimenti saremo spacciate. Ayida mi prende la mano e usciamo allo scoperto.
Diamine che corsa, per fortuna l’abbiamo scampata.

Quello che stavamo inseguendo, era una vittima abituale. Dopo numerosi pedinamenti, ormai siamo bruciate. Sarà meglio aspettare a tornare verso via Pistoiese per evitare di incontrarlo di nuovo. Potrebbe avere delle ragioni da spiegare che noi non vogliamo sentire.

Mi attira una piazza in cui non ero mai stata prima. Si trova subito dopo il vicolo del Tignoso. Ha un’atmosfera quieta, deserta ma rassicurante. Al centro una grata di metallo, illuminata, spicca come la torta di un matrimonio elegante. C’è un alberino lì accanto, decorato con dischi circolari tagliati in sezione. Sono bianchi e rossi e hanno gli stessi nastri rossi della grata.

Convinco Ayida a fare altre foto tra quelle palle di Natale, a fingersi una statua incastonata nei bei portoni antichi dell’istituto che si rivela il conservatorio. Questi edifici mi ricordano San Telmo, un quartiere di Buenos Aires dove mia madre mi trascina spesso. Trascinava spesso. Mi rivedo il suo mercato dell’usato, gli edifici storici e le corti con i pavimenti a scacchi. Qui non c’è un tango che si allunga da un vecchio abbaino, ma mi sembra di sentir suonare un violino. Mi sembra che sia nell’aria e che lo porti il vento.

Mi fa freddo e pretendo un pagamento in Bubble Tea. Sono le sei e mezza e tra un’ora verrò recuperata dalla signorina Belli per un rientro al cardiopalma. Torniamo su via Pistoiese e ci infiliamo in un locale nuovo per tutte e due. Hanno un the ai fagioli rossi che decidiamo di provare. C’è uno zaino con una calotta di vetro sul divanetto dove ci sediamo ad aspettare le bevande.

Ayida mi mostra un’immagine nel telefono dove leggo i numeri 765 tra svariati caratteri cinesi. Non capisco, allora mi spiega che quella è una frase in codice. La pronuncia dei numeri è la stessa dell’invito “Andare a Ballare”. Sta girando tra i ragazzi cinesi l’indirizzo della festa di capodanno dove andranno quelli più grandi.

Passiamo quaranta minuti a discutere di cosa potremmo indossare a quella festa. Io tiro fuori foto di accessori anni ‘80 che sarebbero favolosi e Ayida mi guarda come se mi fossi bevuta il cervello. E invece mi bevo una sorsata di latte e un paio di fagioli, e continuo il nostro gioco in cui, prima o poi, riesco a farla ridere. Quando lo fa è come se mollasse quell’elastico che le tira sempre la faccia, e mostra delle fossette tenere in mezzo alle guance. Sarà capitato due volte da quando la frequento.

A un certo punto dalla calotta dello zaino dietro di me, spunta la testa di un gatto. Perdo il controllo del bicchiere di the che mi rotola addosso e poi addosso ad Ayida. Le ho sporcato i pantaloni. Questa roba è anche calda. Lei non fa una piega. Lei finge che nessuna sostanza vischiosa ci stia gocciolando sui calzini.

Lei non ha neppure battuto ciglio quando un gatto astronauta si è improvvisamente unito al nostro tavolo. Mi sento una bambina pasticciona. Queste coetanee cinesi sono piene di peluche cretini attaccati alle penne ed eccedono con le emoticon, però diamine come si sanno comportare in pubblico. Io non imparerò mai.
Poi Ayida prende la cannuccia dal suo bicchiere e con lentezza aspira uno dei miei fagioli che si è rovesciato sul tavolino. Tutta serafica.

Dopo due secondi ci scappa da ridere e non vorremmo farlo. Ci monta la risata nello stomaco ed in quel momento il gatto nella capsula fa di nuovo capolino. Io esplodo, strillo dal ridere e mi alzo per raggiungere l’uscita. Lei fa lo stesso, urla più forte di me e ci accasciamo sui talloni sul marciapiede. Lei ha le mani a coprire la faccia e la testa bassa, coperta dalla frangia. Guai a mostrarsi scomposta, mi sa. Io cado seduta in un’aiuola e non ci vedo più dalle lacrime.

Un messaggio e la signorina Belli viene a prendermi. Entro, abbasso il finestrino e chiedo ad Ayida:
“Ma allora domani andiamo a quella festa di Capodanno?” Tutte le mie chance di fare baldoria sono appese alla sua risposta.
“No tu non vieni” replica lei. Senza cattiveria. Senza lasciarmi diritto di replica.


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