La mia camera in campagna non ha segnato mai più di 18 gradi per tutto l’inverno. Un maschio accaldato a portata di mano è molto comodo da tenere intorno.
Leonardo mi percorre la cicatrice con le dita della mano sinistra mentre la destra si perde tra le cosce.
Fa caldo, fa un caldo bellissimo in questa stanza.
“ConCon!” fa quella voce dal corridoio. Diamine mia madre sceglie sempre il momento peggiore per chiamarmi.
Sento bussare sulla porta e ancora: “ConCon!”.
“Mamma?” riesco ad articolare. Provo a rendere aguzzi i pensieri liquidi che mi scorrono addosso.
“Non sono sola, aspetta” replico come se non fossero mesi che non la vedo.
Mi prendo un tempo per rivestirmi e per vestire Leonardo. Apro la finestra. Mi sbatto sulla pelle l’aria gelata di marzo. Vado a girare la chiave nella serratura e apro. Una persona normale si sarebbe ritirata ad attendere in salotto ma non lei. Ecco mia madre, appena arrivata dall’Argentina, che si morde il labbro per non iniziare a brontolare appena mi rivede.
Soppesa Leonardo con lo sguardo, al che io mi allontano un attimo fuori per liberarlo e lo bacio sulla bocca mentre sale in sella. Menta e cannella. Poi mi giro, rientro in casa, alzo le braccia e lei corre a stringermi forte come una maledizione. Mi entra nelle ossa.
“Sei cresciuta ConCon” balbetta fra le lacrime.
Ci piacciono le sorprese, perché non ci piace fare promesse che poi non possiamo mantenere. Ecco il perché di questo arrivo senza preavviso. Ci piacciono le sorprese, ed è un bene, perché ne ho alcune in serbo per questa madre che mi ha spedito via senza darmi il tempo di respirare.
La vedo che si sforza a non dire niente del ragazzo appena uscito dalla camera in cui ero chiusa a chiave.
La vedo che è davvero brava, nonostante le pruda la lingua.
Ciononostante mi monta una rabbia cosmica e inizio a strillarle contro. Come mai mi ha mandato via da casa? Cosa le è saltato in mente? Cosa aveva da fare tutta sola a Buenos Aires per rinunciare a sua figlia?
E cosa ci facevo io con un ragazzo chiuso in camera? Ma allora non ho imparato niente? Cosa mi sono messa in testa, di poter fare quello che mi pare?
RB osserva la scena dieci metri più in là. Approfitta del timido sole di oggi per spogliare i limoni e intanto tende l’orecchio e sorride. Lo vedo che segue la baruffa e senza dire una parola porta due sedie, dove ci sediamo e continuiamo a litigare.
Fa presto buio, lui ci porta un bicchiere di limonata appena fatta con due cubetti di ghiaccio con fiori di borragine incastonata. Li avevo visti nel freezer.
Approfitta del tempo in cui bevo per dirmi che il prossimo mese devo aiutarlo a raccoglierne di nuovi. Mi garantisce che, quando imparerò a conoscerla, mi accorgerò che la pianta di borragine cresce dappertutto. Perfino lungo la passerella che percorriamo di mattina. Ecco, però, devo promettere che non metterò quella nei cubetti del suo freezer: chissà chi ci piscia sopra.
Con l’anima scapigliata, fisso mia madre e inclino la testa. La trovo più bella e più vecchia. Mi alzo e inizio a scavare una buca immaginaria nel giardino. Prendo un’ascia simbolica e la sotterro. Diamole una tregua, per ora.
RB ci fa salire sulla sua Peugeot e scendiamo in centro a cenare. Mia madre deve ancora abituarsi al fuso orario ed una bella mangiata di carne non può che farle bene. Hanno scelto un ristorante italiano e quasi mi commuovo: è la prima volta da quando vivo qui. Cucina abruzzese per la precisione, specialità arrosticini.
Nel tragitto mi dicono che ci raggiungono anche la signora Wang e sua figlia. Mi dicono anche che mia madre è qui per restare un po’, e che dormirà con me. Io osservo i lampioni che passano dal finestrino e mi lascio scivolare queste informazioni senza sentire altro che il momento presente. Mia madre è qui per cenare con me.
Quando lei rivede la signora Wang, mamma la abbraccia come una sorella. E anche la signora Wang, così riservata, la ricambia con pacche e strizzatine. Aiyda è al suo fianco, si lascia fare i complimenti di rito in un silenzio completo. Risponde appena spostando la testa.
Quando ci sediamo al tavolo, mi rendo conto che Ayida è in difficoltà. É rientrata in quel mutismo telefonico che assume in presenza di sua madre, allo stesso tempo non sa come porsi con la mia, di madre. Quindi non fa niente, non dice niente e si isola con aria super indaffarata.
Le chiedo di accompagnarmi in bagno perché mi viene in mente di coinvolgerla nel mio piano. Vendetta. Voglio vendicarmi con mia madre.
Lei mi ascolta ma sulle prime resta interdetta, le madri sono bestie da ignorare nel suo codice. Un eccessivo accanimento potrebbe essere indice di eccessivo attaccamento, ed è poco saggio attaccarsi a qualcuno che poi se ne va, o ti spedisce in capo al mondo.
Però. Però poi la vedo la scintilla dell’idea perfida in stile Ayida che prende forma. Ok. Vendetta.
Torniamo a sedere che è già arrivata la cena. Adesso che un cassetto della mia testa sta covando la mia idea di vendetta, il resto della mia anima si placa e mi godo la cena. Anche Ayida sembra più rilassata, e scherziamo con gli spiedi degli arrosticini dopo averli spogliati della carne. Poi, viene sganciata la bomba.
La signora Wang pone un’ingenua domanda e in poche frasi vengo a sapere chi sono i fratelli Belli e perché mi trovo qui.
Per farla breve, siamo parenti e non me lo aveva detto nessuno.
Per farla lunga, mia nonna non era l’unica moglie di mio nonno. Anzi lei aveva un altro marito e lui un’altra moglie. Io non so che maledizione abbia colpito le donne della mia stirpe: avrete uomini volanti, che ora ci sono e ora no, e imparerete a fare senza di loro.
Mia nonna Consuelo, che io non ho mai visto, da giovane si era trasferita da Napoli in Veneto, nel paesino di Dolo, a far la domestica in una villa sul Brenta. La villa era frequentata da persone molto colte e danarose, tra cui un signore toscano che si fermava spesso durante i viaggi di lavoro in Nord-Est. Era un commerciante di filati che aveva fatto fortuna e si era comprato una bella villa nella campagna intorno a Prato.
“Signora lasci che mi presenti, sono il Belli” e la nonna era cascata come una pera. Si erano frequentati per anni e lei, che non voleva perdere il posto di lavoro, ci era stata attenta. Poi una sera aveva capito di essere incinta e aveva dato la notizia al granduomo. Lui le aveva risposto: “Non posso sposarti cara, ho già moglie”.
Due settimane più tardi la nonna si era presentata alla villa di Prato, senza grandi proclami e con una piccola valigia. Le aveva aperto il Manetti, che era vedovo e si occupava di tutto, dalla gestione dei figlioli piccoli del Belli alla concimazione degli ulivi che riempivano le colline intorno alla villa. Ben presto aveva proposto di occuparsi anche di lei ed avevano messo su famiglia nella casa di fronte alla villa, quella dove vivono ora i fratelli Belli ed io con loro.
Mia madre snocciola questa storia con distacco e battute che sollevano risate fragorose. A me viene voglia di vomitare. Preferivo essere approdata in un posto a caso da qualche amico a caso della mamma che le doveva un favore. E invece sono l’ennesima pena che i fratelli Belli si sono trovati a dover espiare per un padre farfallone. Mi alzo e vado in piazza Mercatale a prendere una boccata d’aria.
Me ne sto a rimuginare e dentro mi sale schifo misto a confusione. Il primo a venirmi in soccorso è RB, che si avvicina e cerca il mio sguardo, con un’abilità che ha messo a punto durante questi mesi di convivenza. Non mi dice niente, ma mi guarda e mi sorride. Poi prendiamo a camminare lungo il perimetro della piazza calciando i rifiuti scappati all’ultima raccolta differenziata della plastica.
Quando abbiamo completato l’ovale della piazza, siamo pronti a rivolgerci parola. Faccio ancora difficoltà a mettere in fila le parole, allora ci pensa lui.
“Consuelo, stai tranquilla. La camera resta a te anche se si faranno vivi altri nipoti di mio padre”.
“Con cose così tremende dove si trova la forza di scherzare?” replico a bruciapelo.
“Solo se la prendi a ridere puoi trovare la forza. I toscani fanno così”.
“Quindi io sarei la tua…?”
“Non mi azzardo nemmeno a pensarci. Tu sei la figliola di Carolina che per me è una di famiglia. Punto.
A voi adolescenti le etichette non piacciono, o sbaglio?”
“Non ci piacciono, ma nemmeno le fregature o le pene da espiare dopo generazioni”.
“Io sono contento che sei qui. Con te non ci si può annoiare” mi dice, poi mi tocca la spalla e torna dentro.
Mia madre deve essere ancora al tavolo e non me la sento di affrontarla sul momento. Mi vengono tante domande in testa: Che infanzia di merda le sarà toccata? Sarà stata offesa dai coniugi Belli? Questo Manetti sarà stato un padre favoloso? Non me ne ha parlato mai.
In ogni caso, capisco perché le sia piaciuto respirare aria libera e avere una pagina bianca da cui ripartire, in Argentina. E forse capisco anche la sua scelta di spedirmi qui, per avere la mia pagina bianca. La capisco ma ancora è presto per fargliela passare liscia.
Esce Ayida, che sembrava appostata in attesa del momento giusto. Mi prende la mano e dice due parole.
“Domani, scappiamo”.