Non rinnego niente della nostra fuga, anche se è andata ben oltre il buon senso. Adesso che mi trovo nel retro di questo van con i vetri oscurati e ci lasciamo il Bisenzio alle spalle, penso che era tutto evitabile. Se tornassi indietro, rifarei gli stessi passi? Credo di sì, ma so anche che dopo questi giorni, niente sarà più lo stesso tra la signora Wang, mia madre, Ayida e me.
Il primo treno lo abbiamo preso inutilmente.
Il giorno dopo le Grandi Rivelazioni Ayida mi ha dato appuntamento in stazione e mi ha detto:
“Andiamo dal mio ragazzo a Montevarchi”.
Mi si è aperta la bocca e sono rimasta a fissarla come un pesce, mentre lei sbrigativa mi ficcava in mano un biglietto obliterato e mi spingeva fino alla scala corrispondente al binario del regionale in partenza, nel sottopasso di Prato Centrale.
Il piano era sparire dai radar delle rispettive madri e non degnarle di attenzione fino a sera. Ero scesa con la signorina Belli con il pretesto di prendere un fumetto in biblioteca. Avevo raggiunto la stazione a piedi e la sua piazza alberata mi aveva fatto simpatia, come la prima volta che ero sbarcata a Prato da un altro continente, otto mesi prima.
Per Ayida si trattava di un viaggio abituale, l’avevo capito dalla sicurezza con cui faceva i vari step: il cambio a Firenze, trovare la direzione nel flusso della folla e la scelta del binario successivo.
Solo dopo essere salita a bordo del treno in coincidenza, ho messo in fila le parole per chiederle.
“Di che ragazzo stai parlando?”.
Mi ha guardato interrogativa, domandandosi come mai fossi così tonta da non capire le cose elementari. Da dicembre ha una relazione con un tipo IBC come lei che vive a Londra ma ha un cugino a Montevarchi e quando è in Italia fa base da lui. Per me IBC è una sigla senza riferimenti, deve trattarsi di una squadra per cervelloni. Lei capisce al volo che non ho capito e mi specifica: “Italian Born Chinese, seconda generazione come me”.
Mi sono tirata fuori da quel linguaggio complicato con un banale: “Che bello. Come vi siete conosciuti?”
Lei per tutta risposta, ha tirato fuori il cellulare e mi ha lasciato a guardare fuori dal finestrino. Dopo circa un’ora siamo arrivate a Montevarchi, che è minuscola. Dal cellulare nessuna notifica da mia madre, ho trovato invece un messaggio di mio padre, che buttava lì due foto di palme e un generico “Wish you were here in Java conmigo”.
In cinque minuti a piedi abbiamo raggiunto un ristorante Sakura All you can Eat e ci siamo sedute. Un ragazzo più grande è apparso dal retro, ha posato un bacio sulle labbra di Ayida e poi ci ha allungato il QR code per visualizzare il menu. Io per poco non mi strozzo dallo stupore. L’algida Ayida che alza il mento per lasciarsi baciare. La frangia che smette di frustare l’aria intorno a chi osa avvicinarsi. Wow.
A quel tavolo non ci siamo fatte mancare niente. Abbiamo iniziato dai ravioli, poi sushi, spiedini di carne e patate fritte, poi di nuovo ravioli che non mi erano bastati. Poi maiale in agrodolce e una muraglia di lattine di Coca. Ogni tanto Yun, così si chiama il fidanza, si è trattenuto per due chiacchiere e ha scelto l’italiano per includere anche me. Bel tipo. Controllando il cellulare, di mia madre nessuna traccia. Le notifiche in arrivo, erano di Leonardo.
Abbiamo fatto un giro per il paese e poi siamo arrivati ad una pineta sul fiume. C’era una discesa da cui si raggiungeva la riva, e abbiamo preso a lanciare i ciottoli come bambini. Tra Ayida e Yun si notava una discreta confidenza. Lei si lasciava prendere la mano e si avvicinava a lui come una gattina affezionata. Poi un tuono potente e rapide nubi hanno riempito il cielo. Era il tempo di incamminarsi a passo svelto verso la stazione.
Yun ci ha salutate all’altezza del ristorante, pronto a dare una mano anche al turno serale. Noi siamo entrate in treno giusto un attimo prima che si scatenasse un bel temporale. Grosse gocciole oblique hanno preso a segnare il finestrone della vettura.
Dal cellulare, nessuna notifica di mia madre. Ho chiesto ad Ayida, nemmeno della sua. Avevamo solo 40 messaggi sui compiti da fare nella chat di classe alla vigilia della verifica di inglese. I bravi studenti se ne ravvedono sempre verso le 18.
Dopo una decina di minuti sono arrivati i messaggi del punteggio del fantaprof ideato dal Duo Iene, alias Gioia ed Elisa.
Insomma siamo scappate senza dire nulla e le nostre madri non se ne sono nemmeno accorte. Ma che razza di madri sono?
Per questo motivo è partita la fase due: vendetta con pernotto.
Ad essere del tutto sincera, più che per rabbia avevo pensato di scappare da mia madre per un fastidio che avevo iniziato a provare. Ho avuto difficoltà a pormi con lei con spensieratezza. Il suo racconto, per quanto apparentemente leggero, mi aveva fatto riflettere su quanto poco sapessi di lei, prima dell’Argentina. E anche se non mi aveva dato sufficienti spiegazioni, anche se non era stata presente, adesso io non ero più una bambina. Intuivo che certi errori si fanno anche e nonostante l’amore. Ed ero pronta a fare i miei.
La settimana prima dell’arrivo di mia madre era coincisa con una scoperta che avevo adorato. Un palco di cervo nascosto tra l’erba. L’avevo portato a casa raggiante e RB mi aveva condotto a due curve da casa, dove un maschio di cervo aveva segnato un cipresso di media altezza con solchi dettati da prurito e furore. Avevo appoggiato le mani sul legno scalfito, avevo avvertito un’indomita potenza. La corteccia era stata aperta ed il legno vivo portato alla luce. Le frange smembrate erano morbide al tatto, come un bambolotto intagliato nella noce di cocco che mi era capitato da bambina. L’anima di legno liscia e dura.
Quell’albero segnato era diventato il mio posto per pensare e sentirmi parte di qualcosa di più grande.
Al rientro della fuga a Montevarchi, della quale non avevo fatto parola, avevo pensato di parlare con mia madre. Un pomeriggio sul tardi le avevo chiesto di seguirmi al grande albero del cervo per trovare un momento staccato dal resto. Lei mi aveva chiesto un’ora di tempo per districarsi fra alcuni documenti che doveva consegnare e poi mi avrebbe seguita.
Mi ero seduta tra i limoni ad aspettarla, un po’ emozionata. Avevo provato ad elencare le cose che le volevo far sapere. Di certo, io non ero una bambina e questo era da ribadire. Adesso poteva confidarsi con me se aveva un problema e non reggere tutto sulle sue spalle. Poteva raccontarmi meglio della sua infanzia. Ero pronta per reggere notizie spiacevoli se dette con più cura dell’altra sera.
Quando si è affacciata sulla porta, siamo partite verso l’albero segnato in religioso silenzio. Poi però tutto è precipitato. Il fattore della villa con cui confiniamo ha stretto tutto l’albero con filo spinato elettrificato nei giorni scorsi. Ma come si fa a mettere al bando un cervo? Come si fa a pensare di essere padroni di un albero di cui non si fa niente?
Mi sono avvicinata al filo sbraitando, l’ho toccato, ho preso la scossa e ho preso a gridare ancora più forte.
Mia madre a quel punto mi ha riportato a casa per controllare le mani. La mia pace interiore, fritta e svanita. Il bel discorso da donna adulta si è dissolto prima di cominciare.
Poi la mattina dopo Leonardo a scuola mi è venuto a cercare all’intervallo e ha buttato lì una tentazione facile in cui cadere: i suoi andavano alle Canarie per le vacanze di Pasqua. Avevo per caso voglia di andare con loro? La domanda mi ha spiazzato e sono rimasta un attimo senza parole.
Ayida invece no. Si è intromessa con naturalezza e ha suggerito: “Invece fai partire loro, tu resti a casa da solo e veniamo noi a dormire da te”.
Leonardo mi ha guardato. “Te preferiresti così?”
Io ho annuito, senza sapere bene quello che stava succedendo. Quindi lui è tornato in classe sua risoluto, Ayida ha fatto lo stesso ed io sono rimasta impicciata in un casino che sapeva di casino anche prima di accadere.
Sono tornata al banco e le ho detto: “Non mi faranno mai andare a dormire da lui”
E lei: “Non lo chiedi. Vendetta, ti ricordi?”
Sono rimasta in silenzio. Casino combinato.
Nei giorni seguenti non ho trovato il modo per tirarmi fuori dalla situazione. Leonardo ha detto ai suoi di partire ed ora aveva una certa aspettativa su di me. Ayida ha dato per scontato che tutto fosse definito e non ne ha più fatto parola. Mia madre intanto provava a trovare un momento per parlare con me ma io mi dileguavo con scuse cretine perché non le potevo dire di non essere una bambina mentre le preparavo una bella sorpresina del cavolo.
La ciliegia sulla torta sono stati degli indizi che mi sono trovata a scrivere con Ayida. Il piano era far credere alle nostre madri di essere scappate a Milano e venire a cercarci senza trovarci, mentre noi eravamo nascoste a casa di Leonardo.
Adesso che ci ripenso, mi accorgo che sul momento non ho notato questo cambiamento in Ayida. Una voglia evidente di farla pagare a sua madre è emersa da quando le avevo proposto di vendicarmi con la mia. Una cosa abbastanza normale per me, che sbatto su mia madre da quando sono nata e la faccio arrabbiare per affermare la mia volontà e anche per sapere che mi amerà comunque. Ma in lei? Qualcosa di inedito.
Adesso siamo su questo van con i vetri oscurati, che fa molto gangster o vip in incognito. Ayida è sul sedile anteriore e non muove un muscolo. Io sono qui, ostaggio di questo tipaccio che è arrivato con la signora Wang e ci ha caricate come criminali in fuga. Leonardo è rimasto sulla porta, impotente e umiliato dall’incursione nel suo giardino. Mia madre mi aspetta a casa e non ho idea di cosa abbia pensato o provato nelle ultime 24 ore. Non ho idea di quello che mi aspetti.
fine prima parte