giovedì 7 luglio 2022

SOMOS FRUTILLAS - CAP 2


Oggi è il 15 di agosto, lo chiamano Ferragosto. Manca un mese esatto all’inizio della scuola. Da questa località sospesa tra il caldo e la noia, andare a scuola sembra quasi un evento mondano al quale mi sto preparando prendendo lezioni di italiano da RB, che hanno rivelato un mio portentoso talento. Spero che mi servano a qualcosa e a fare due soldi il prima possibile, ma per ora aspetto senza la certezza che questo isolamento avrà mai fine. 

Ieri ho visto passare un ragazzo della mia età da qui davanti in bici da cross e mi è quasi preso un accidenti. Mi ero scordata che questo mondo avesse altri abitanti giovani. Aveva i pantaloncini corti e le gambe molto muscolose. Le mani si tenevano salde sul manubrio per non perdere la presa all’inizio della discesa.

Quando mi ha visto, ha inchiodato. Mi ha guardato appena, ha bevuto l’acqua da una borraccia cilindrica. É ripartito, scontrando la ruota davanti contro i sassi più grossi del viottolo, e si è deciso a urlarmi un Ciao!


Nella casa in pietra dove abito con i fratelli Belli ci sta anche una famiglia di vecchi. Hanno una figlia che vive in Inghilterra e che doveva venire a trovarli, ma poi è andata a Ibiza. A volte facciamo la cena tutti insieme sotto il loro pergolato e quando lo chiedo mi danno un bicchiere di vino. Abbiamo un orto di pomodori e questi pomodori agli italiani vengono davvero bene. Il problema è che ne abbiamo tanti e mangiamo sempre questi. Bruschetta con i pomodori, spaghetti al pomodoro e basilico, caprese con la mozzarella ed il basilico, carne alla griglia con contorno di pomodori in insalata e braciole alla salsa di pomodoro. Quando se ne sono usciti con il sorbetto al pomodoro mi è scappato da ridere.


L’olio è buono ed il basilico mi piace tanto, ma credo di avere un’orticaria da pomodoro. Le braccia intorno ai polsi sono piene di puntolini rossi e sono stata due giorni in casa per evitare che mi pizzicassero troppo, tra sole e sudore. Questo mi ha dato modo di scoprire gli animali più belli del mondo. La casa è infestata di vespe muratrici. Sono loro a causare quel rumore molesto tipo il motore di un frigo che accelera. Lo sento da quando sono arrivata e adesso ho capito: sono loro che si infilano in pertugi stretti, come la serratura della cassettiera o il retro di un quadro, per fare nidi di argilla. Avevo chiuso la finestra perché entrava aria calda e una vespa si è affacciata dalla fessura fra le due ante. Sono determinate.

Sono anche delle costruttrici accurate, creano dei loculi di argilla, materiale che trasportano con le loro mandibole a forma di tenaglia. La impastano e creano architetture perfette. Il fango secca, loro depongono una larva in ogni nido e ci vanno a mettere uno spuntino per i neonati. Per caso ne ho rotta una che era dietro la persiana e sono usciti ragnetti morti e piccoli insetti.


Mia madre sarebbe impazzita e avrebbe intrapreso una lotta contro queste vespe. Non si sarebbe sentita al sicuro se non fosse riuscita a espellere ogni loro traccia dalla casa. Qui invece no, si lasciano fare. Ed io mi sento così felice che non ci sia una barriera tra dentro e fuori. Perché tanto questa barriera sarebbe illusoria, provvisoria, irrisoria. La campagna è degli animali e mi piace stare tra di loro. Ecco, tranne le zanzare. Per quelle abbiamo delle luci viola che poi le fulminano all’istante. E quando entrano nella trappola mosche più grosse, viene su una fumosa puzza di bruciato. 


Ieri sera ero stranamente sola in tutto il casolare. Ho spento tutte le luci e mi sono seduta sulla porta. Il buio della notte iniziava a ingoiare quel panorama che ormai mi è chiaro, di siepe e colline e file di alberi piegati dal vento. I suoni si stavano facendo più intensi e davano informazioni sui cani al cancello e sulle lepri di passaggio. Ho avvertito quella ancestrale paura della notte che deve essere in noi da quando siamo scesi dagli alberi nella Rift Valley e abbiamo fatto un passo verso la pianura. Ho sentito che la paura evoca anche la potenza ed il coraggio. 


Ho lasciato salire dentro di me questa sensazione di vuoto e di abbandono, di fiducia nelle mie forze qualora fosse sopraggiunto un pericolo. Mi sono sentita tutta lì, in quel presente arruffato dalla brezza della sera. Mi sono sentita invincibile e ho percepito il sangue pulsarmi nelle vene, ferma ma anche in costante movimento, come il mondo nella notte.


Ho seguito con le orecchie un suono foglioso di gatto, ho pensato, che stava cacciando sotto la siepe. Poi il bramito potente di un cervo mi ha investito come un’onda. Sono rimasta pietrificata, con i nervi pronti a scattare. É passato un minuto, lunghissimo, in cui non ho respirato. Un secondo bramito è arrivato da più lontano e allora i casi erano due: o una seconda bestia aveva risposto alla prima, o la prima si era già spostata dopo avermi urlato in faccia. 


A quel punto la sagoma di un cinghiale bello grosso mi è apparsa a tre massimo quattro metri di distanza. É trotterellato in avanti con un cenno del capone e poi si è immerso con il muso nel terreno accanto all’orto. Sono stata così veloce a schizzare in casa che non so come sono arrivata dentro. Ho girato la chiave nella serratura e mi ha invaso una risata fragorosa, potente e mi sono spanciata dal ridere. Le scosse delle risate erano così violente da strizzarmi il fiato. Ho attaccato il naso alla finestra della cucina, ma da lì con le luci spente non si vedeva più nulla. Come avevo detto? Invincibile.


Non ci saranno testimoni o post su Instagram per questa notte di epifanie. Non accedo ai social da quando mi hanno infilata sull’aereo. Potrei dire qualsiasi cosa, ma la verità è che mi vergogno per quello che mi è successo. Credevo di avere un fidanzato, Ricardo, poi mia madre ha saputo che lui aspettava un bambino da una ragazza poco più grande di me. Le foto che ho fatto con lui, le ho cancellate tutte prima di spegnere il telefono al decollo da Buenos Aires.


É stato proprio un caso che mia madre l'abbia scoperto. Era sull’autobus e ha visto Ricardo con una ragazza e lei piangeva. La sua proverbiale mancanza di rispetto per la privacy altrui ha fatto il resto. É scesa, ha origliato. L’ha fotografato, per essere certa che fosse quel compagno di scuola che le nominavo io. Io avevo iniziato a fare sesso con lui da una settimana. Presa da un raptus più unico che raro ne avevo parlato con mia madre. Probabilmente troppi ormoni e la bocca non è stata chiusa. Il sesso era bello, ma poi è finito. E dopo viene il mio compleanno. Tanti auguri Consuelo, guarda cosa ho qui? Una valigia per te che non ti sai scegliere le compagnie.


Non è stata l’unica, mia madre, a scoprire questa cosetta. Me ne ero vantata, di stare con lui, che lo volevano in tante. Mi ero sentita speciale a farlo con lui. Quindi certe ragazze sono proprio corse a raccontare in giro che non avevo l’esclusiva. Allora io me lo sono detta: Adesso sai che cambia? D’ora in avanti le cose io le faccio per me. Io non le devo dire. Io non devo dimostrare niente a nessuno. Quello che conta è cosa increspa la mia pelle.


Per Ferragosto c’è un evento qui a Prato che lascia indifferenti più o meno tutti, credo, tranne la signora Wang. Si tratta della Cocomerata in piazza delle Carceri. Il Comune mette a disposizione una schiera di cocomeri e una schiera di volontari che li fanno a fette e li regalano alla gente. Per mangiarli, ci si siede per terra o nel prato intorno al castello. Come fai a perderti un’occasione del genere?

Io mi gratto i miei puntini rossi sulle braccia mentre la signorina Belli mi trasporta sterzando malamente verso questo appuntamento. In spagnolo il cocomero si chiama sandía e mi farebbe piacere poter parlare un po’ in spagnolo. Ricordo di una volta che con mio padre abbiamo tagliato a fette triangolari un cocomero gigante. Abbiamo inciso la buccia per infilarci un palito de madera, una paletta di legno, e poi li abbiamo sistemati in congelatore.


Ci ripenso adesso, dopo diversi anni, e mi sa che quei ghiaccioli di frutta noi non li abbiamo più tirati fuori. Li abbiamo lasciati intrappolati lì, nonostante l’allegria. Il giorno dopo mio padre è dovuto partire all’improvviso per la morte di suo fratello, in Svizzera. E poi è rimasto via molto più del previsto. Mio padre, Agostino Bindelli, ha ereditato dalla mattina alla sera l’azienda di famiglia che produceva cioccolatini. E questo lo ha portato a vivere tra Europa ed Africa molto più che in Argentina. Li ho sentiti litigare, la mamma non ha mai avuto intenzione di lasciare Buenos Aires e quindi io sono rimasta lì con lei.


Quel congelatore pieno di cocomero a fette lo abbiamo dimenticato nel trasloco da un appartamento di Villa Crespo verso una villetta più costosa, con piscina, nel quartiere di Palermo. La nuova posizione di mio padre ce lo ha portato via per mesi interi, ma ci ha reso abbastanza ricche in pochissimo tempo, come tutti coloro che riescono a staccare i loro salari dall’inflazione dei pesos.


E mentre la signorina Belli sterza ascoltando la Traviata dall’autoradio, mentre i puntini pizzicano sulla mia pelle, mi arriva la sorpresona della giornata. Ricevo una foto in cui la signora Wang mi aspetta allo stand del cocomero, con mio padre. Rimango senza fiato, come la sera prima con il cervo, ma stavolta senza tanta adrenalina. Mi sembra di rotolare verso una trappola. Mio padre non ha fatto niente per impedire quel mio trapiantamento ed io non lo voglio vedere. Ma lo vedrò. E lo odio e sono felice.


fine prima parte


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