Cammino con un paio di scarpe di tela sui bordi di una città-palude. Ogni pietra centenaria del marciapiede ha una fossa al centro dove si forma una pozza, ed io devo stare molto attenta. Avanzo lentamente. Ho un ombrello di frasche tra le dita e la pioggia gronda sulle mie spalle come ai lati di un albero isolato. Le gocce rimbalzano a terra in un cerchio perfetto, che inizia sulla punta dei miei piedi.
Poco sotto l'Arno è un boato. Tronchi sradicati sbattono contro i piloni del ponte e rallentano l'incalzare della piena.
L'autobus in cui speravo non mi aspetta e mi impalo ad imprecare in mezzo alla via. Seduta nei sedili posteriori una rana gigantesca, sgargiante, mi fissa. Alza un dito scheletrico e indica in alto. Alzo la testa e mi accorgo solo adesso di quanto sta succedendo: da ieri notte questa non è una pioggia d'acqua ma un flagello di rane. Minute cadono su di noi come una piaga di cui non ci rendiamo conto. Deboli gracidano "Bu Bu" "Ga Ga" "Bu Bu" "Ga Ga".
L'autobus in cui speravo non mi aspetta e mi impalo ad imprecare in mezzo alla via. Seduta nei sedili posteriori una rana gigantesca, sgargiante, mi fissa. Alza un dito scheletrico e indica in alto. Alzo la testa e mi accorgo solo adesso di quanto sta succedendo: da ieri notte questa non è una pioggia d'acqua ma un flagello di rane. Minute cadono su di noi come una piaga di cui non ci rendiamo conto. Deboli gracidano "Bu Bu" "Ga Ga" "Bu Bu" "Ga Ga".